Alaric in Italia! (401-405) - Ep. 23 (2)
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Nel marzo del 402 Alaric seguì il corso del Po sulla sponda settentrionale ma, impossibilitato a tornare sui suoi passi e probabilmente informato che un altro esercito stava approcciando l'Italia da occidente attraversò il Po e pose l'assedio alla città di Asti: alcuni storici pensano che Onorio non fosse a Milano e si fosse rifugiato proprio ad Asti, visto che non si spiegano la decisione di assediare questa città. È più probabile però che Onorio fosse rimasto a Milano, visto che Claudiano dà molta importanza alla liberazione di questa città e molto meno a quella di Asti. Comunque sia neanche questo assedio andò a buon fine e, all'approcciarsi di Stilicone, Alaric abbandonò Asti e si diresse ancora verso occidente. Il suo obiettivo era di uscire dalla trappola di quella terra – il nord Italia – circondata da montagne invalicabili, percorsa da fiumi difficili da traversare e facili da difendere nonché di innumerevoli città-fortezza che i Goti non potevano espugnare: Alaric aveva sottovalutato la difficoltà di conquistare questa terra cocciutamente difesa dai Romani.
Pasqua a Pollenzo
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Veduta aerea della moderna Pollenzo: si vede inconfondibile la traccia dell'antico anfiteatro. Più su, la reggia sabauda sede dell'accademia dello Slow Food
Stilicone non aveva nessuna intenzione di permettere ad Alaric di sfuggire: aveva preparato con cura la sua trappola, seguendo attentamente il percorso dei Goti. I Goti stabilirono il loro accampamento a circa due chilometri dall'estuario della Stura di Demonte, nei pressi dell'antica città di Pollentia, oggi Pollenzo, nei pressi di Bra. Era il giorno di Pasqua, il 6 aprile del 402, e Alaric lì aveva un appuntamento con il destino. I Goti si erano fermati per celebrare la Pasqua: eh sì, spero che non vi aspettaste dei rozzi Goti con gli elmi cornuti. I nostri Goti di Romania, come ho spiegato più volte, erano oramai cristianizzati e per molti versi anche romanizzati. L'accampamento fu vestito a festa e i Goti si accinsero a celebrare la messa.
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Stilicone era anche lui un cristiano, ma il suo primo dovere era verso l'impero: era finito il tempo delle mezze misure, occorreva battere i Goti una volta per tutte e solo una battaglia campale avrebbe risolto la questione. Stilicone voleva però evitare una nuova Adrianopoli e cercò di sfruttare ogni possibile vantaggio datogli dalla fortuna: lui non poteva combattere in questo giorno sacro, ma alcuni dei suoi sottoposti pagani non avevano di questi problemi. Stilicone affidò il comando del primo attacco a Saul, un feroce Alano: schierò ai lati della fanteria la cavalleria degli alani e li mandò a combattere il Goto. Era iniziata la battaglia di Pollenzo.
La battaglia
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La campagna del 401-402
Come tutti gli scontri tra Goti e Romani – Adrianopoli a parte – non fu affatto una passeggiata per entrambi: i Goti erano diventati dei combattenti formidabili ed erano oramai equipaggiati alla romana, d'altronde erano stati per anni dei soldati al servizio dell'esercito orientale e avevano avuto accesso alle fabbriche imperiali e al loro impeccabile acciaio. L'esercito occidentale non era forse quello che aveva combattuto al frigido ma era reduce da diverse vittorie nei confronti dei barbari ed era decisamente più stagionato.
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La prima fase della battaglia fu combattuta dalla cavalleria al comando di Saul, ma pare che le nuove reclute Alane e germaniche non furono all'altezza e furono respinte dai disciplinati Goti. Il loro comandante fu ucciso e le truppe messe in fuga: a questo punto, quando i peggiori incubi di Stilicone sembravano avverarsi, la battaglia si concentrò sullo scontro diretto della fanteria Romana contro quella Gotica, la prima vera battaglia di questo tipo dai tempi di Adrianopoli. L'esercito del quinto secolo è spesso accusato di essere totalmente inefficace, d'altronde come può essere diversamente visto che l'impero d'occidente è destinato a crollare da qui a pochi decenni? eppure vedremo che perfino in questi tardi anni l'esercito romano non sarà mai un osso facile, per nessuno.
Disertati dalla cavalleria come ad Adrianopoli la dura fanteria pesante dei Romani si scontrò con i Goti di Alaric, veterani di decenni di guerra: i Romani non solo mantennero l'ordine e non si fecero mettere in fuga ma iniziarono a spingere contro i Goti fino al punto che furono questi ultimi a temere per la propria vita: Stilicho aveva puntato tutto sulla cavalleria Alana di Saul e fu invece salvato dalla sua fanteria che, a forza di spingere, riuscì a mettere in fuga i Goti. Questi non si ritirarono in una completa rotta, d'altronde i Romani senza cavalleria non avrebbero potuto distruggerli, ma i Romani poterono fregiarsi di un premio perfino migliore: ovvero di conquistare l'accampamento gotico che ospitava tutte le immense ricchezze che la tribù aveva saccheggiato in Grecia, oltre ad un tesoro ancora maggiore: ovvero la famiglia di Alaric.
Ricomincia la danza tra il generale e il Re
Alaric si era rifugiato nelle alture con i suoi: immagino maledisse la sua sfortuna e l'infidia dei Romani che avevano attaccato l'esercito nel giorno più sacro a tutti i cristiani. La giornata da una grande vittoria si era trasformata in una mezza sconfitta ma Alaric non era finito: il grosso dell'esercito era ancora con lui. L'unica possibilità che restava ai Goti era di rimanere uniti: dovevano rimanere forti, se volevano avere salva la vita. Stilicho non era nelle condizioni di attaccare battaglia per una seconda volta. Nonostante che Claudiano come è ovvio celebrasse Pollenzo come una delle più grandi vittorie di sempre delle armi romane Stilicone sapeva la verità: Pollenzo, nonostante la conquista degli accampamenti gotici, era stato soprattutto un pareggio. Rischiare una nuova battaglia era fuori questione. Stilicone e Alaric iniziarono a trattare.
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Stilicone riuscì a convincere Alaric ad abbandonare la penisola: in cambio del ritiro dei Goti dall'Italia Stilicho gli garantiva un salvacondotto per uscire indisturbati fuori dall'Italia, a patto che i Goti si astenessero da qualunque violenza e saccheggio. Una volta fuori dall'Italia Stilicho avrebbe rilasciato i suoi ostaggi, compresa la famiglia di Alaric.
Questo accordo non fu per nulla popolare in Italia e nella corte di Milano: tutti si aspettavano che Stilicone desse il colpo di grazia ai Goti, ma credo che il generalissimo fosse consapevole che una nuova battaglia fosse un rischio ai dadi. Inoltre l'invasione in Raetia lo aveva preoccupato: popoli che mai prima di allora si erano avvicinati alla frontiera danubiana avevano invaso l'impero. Nessuno sapeva cosa stesse succedendo davvero oltre frontiera ma distruggere i Goti voleva dire rinunciare ad un potenziale importante serbatoio di reclute per affrontare i nemici.
Orosio, lo scrittore cristiano del quinto secolo che scrisse la historia adversos paganos, critica molto la decisione di Stilicone: attaccare i Goti il giorno di Pasqua portò l'ira divina e “nonostante fossimo dei conquistatori in battaglia, noi siamo stati alla fine conquistati”. Orosio non ha dubbi: affidarsi ad un comandante pagano, combattere durante la Pasqua: questi erano peccati e i Romani avrebbero li avrebbero pagati caramente.
Secondo round
Alaric, nell'autunno del 402, dopo aver accettato i termini offertigli da Stilicone iniziò a ritirarsi ma poi all'improvviso qualcosa andò storto. Forse fu il suo risentimento e il desiderio di dimostrare ai suoi che aveva ancora il controllo della situazione e un piano per portare il popolo gotico in sicurezza, forse i Goti non si comportarono in modo specchiato nella loro ritirata. Forse di converso fu lo stesso Stilicone a riiniziare le ostilità, visto che il generalissimo era stato molto criticato, nonostante i panegirici di Claudiano, per non aver finito il nemico. Sta di fatto che Alaric, dopo aver attraversato l'Emilia, non si ritirò pacificamente dall'Italia ma pose l'assedio a Verona, probabilmente non contento di aver fallito tre assedi e desideroso di fallirne un quarto. Cosa che puntualmente avvenne.
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Nell'agosto del 402 si combatté quindi sotto le mura di Verona la seconda grande battaglia dell'anno: non sappiamo esattamente cosa avvenne ma a quanto pare di nuovo la cavalleria Alana non fu completamente all'altezza eppure la fanteria romana ebbe la meglio dei Goti che dovettero lasciare il campo di battaglia in quella che fu, per una volta, una inequivocabile sconfitta, la peggiore della lunga carriera di Alaric. I goti riuscirono ad estrarsi dalla battaglia e rifugiarsi a nord, verso il passo del Brennero, dove furono posti sotto assedio dai romani: l'esercito goto, decimato dalla fame, dalle malattie e dalla defezione di interi reggimenti in favore dei Romani, sembrerebbe essere stato interamente alla mercé del generale romano. Finalmente, al segnale di Stilicone, i Romani attaccarono quello che restava dell'esercito di Alaric: i goti furono massacrati e il loro comandante catturato e portato in trionfo a Milano, per essere decapitato. The end.
Non c'è tre senza quattro
Ah! So bene che di nuovo voi sapete che non è così che andò, e qui siamo davvero a quasi il ridicolo: è la quarta volta che Stilicho ha in mano il suo migliore nemico. La prima volta fu nel 392, in Macedonia, poi nel 395 in Tessaglia, poi nel 397 nel Peloponneso. Ancora una volta, e nonostante che a questo punto Alaric fosse davvero indebolito, Stilicho, il generalissimo, intavolò trattative e alla fine lasciò andare il Goto. L'invasione dell'Italia da parte di Alaric era stata un abbietto fallimento: Alaric aveva perso tutte le sue ricchezze, una buona parte del suo seguito, alcuni dei suoi comandanti ed era decisamente al punto più basso della sua illustre carriera ma nonostante tutto visse per vedere un altro giorno e di qui a otto anni, spoiler alert, i suoi uomini saccheggeranno Roma. Perché Stilicone lo lasciò andare via?
Il tradimento è stato a lungo una tesi molto seguita: questa fu anche la tesi degli storici romani che scrissero dopo la caduta di Stilicone, come Orosio. Anche molti studiosi moderni hanno sposato questa tesi, scrive ad esempio Bury, uno storico dell'inizio del ventesimo secolo: «se un'altra persona al posto di questo generale germanico fosse stato alla testa dello stato, se la difesa delle province fosse stata affidata a un comandante romano con l'abilità e il carattere di Teodosio o Valentiniano I, i Visigoti e il loro re sarebbero stati definitivamente annientati, e sarebbero state evitate molte calamità dovute alla politica indulgente del Vandalo a cui Teodosio aveva in modo poco saggio affidato le sorti di Roma». Altri studiosi, invece, difendono Stilicone sostenendo che le battaglie di Verona e di Pollenzo non furono decisive e che Stilicone non avrebbe mai avuto la concreta possibilità di annientare Alarico, né ne avrebbe avuto il desiderio per le ragioni che ho spesso riferito: i Goti di Alaric erano i barbari meno barbari di tutti e una fonte preziosissima di reclute agguerrite per l'esercito Romano. Altri ancora sostengono che Stilicone salvò Alaric perché i due strinsero un accordo: Stilicone aveva bisogno di un alleato con il quale raggiungere il suo scopo di sempre, ovvero soggiogare la corte di Costantinopoli al suo volere. Un accordo con Alaric è documentato di certo dal 404 in poi, vale a dire poco più di un anno dopo la battaglia di Verona, non mi pare inconcepibile che questo stesso accordo venisse stretto direttamente al Brennero.
Al sicuro dai barbari, se non dalle zanzare
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Ravenna nel tardo impero
L'invasione di Alaric, nonostante il totale fallimento, ebbe una conseguenza importantissima: Onorio aveva preso un bello spavento a Milano e si era reso conto che la sua sicurezza – sempre il suo unico e principale cruccio – non era garantita in quella città, nonostante le sue possenti mura. Anche Stilicone concordò che occorreva garantire all'impero una capitale che fosse imprendibile, una capitale dove l'amministrazione e il governo potessero continuare a funzionare anche quando inevitabilmente altri nemici avessero bussato alla porta dell'Italia, come sembrava oramai possibile se non probabile. L'impero d'oriente aveva la sua impregnabile Costantinopoli, una città che aveva già ampiamente dimostrato la sua capacità difensiva di fronte alle avversità della guerra gotica, l'occidente aveva bisogno della sua Costantinopoli.
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Per un po' si pensò perfino di tornare a Roma ma Stilicone sapeva che Roma era indifendibile. Decise quindi di trasferire la capitale dell'Italia e di tutto l'occidente a Ravenna. Ora questa scelta può sembrare assurda a chi conosce la Ravenna moderna: è una città come Milano, nel mezzo della pianura padana anche se con un migliore accesso al mare. Ma la Ravenna del quinto secolo era molto più simile alla moderna Venezia: una città lagunare, irraggiungibile o quasi da parte di un attaccante che venisse dalla terraferma e che non disponesse di una flotta, flotta che i Romani avevano convenientemente basato in un sobborgo di Ravenna, Classe. Riparata dietro le paludi della Romagna e il legno della flotta Romana il governo dell'occidente sarebbe potuto sopravvivere anche a invasioni e tempi ben peggiori della prima avventura italiana di Alaric. E gli avvenimenti futuri dimostrarono ampiamente che così fu, anche se non si può non sottolineare la differenza di attitudine tra gli antichi romani, che non avevano sentito neanche il bisogno di difendere Roma con delle mura fino alla crisi del terzo secolo, e i Romani del quinto secolo, oramai rassegnatisi a difendere la loro capitale grazie a paludi, zanzare e una flotta di navi. Inoltre il trasferimento della capitale a Ravenna fu un disastro per un'altra città italiana, ovvero Milano: il suo secolo di gloria era terminato e non sarebbe stata mai più la capitale dell'Italia nei seguenti mille e seicento anni.